Alessandro Malaspina a Ramón Ximénez [1]

Acapulco, 23 novembre 1791

 

          Mi vien fatto, infine, gentilissimo sig. abbate, di poter riaprire una per me troppo preggevole corrispondenza, senza aggiungere un nuovo rammarico ai que' che deve naturalmente causarle l'incertezza della nostra sorte, nella quale ha tanta parte il suo, a giusta ragione diletto, Fabietto. Non erano fin qui corrispondenti né alle sue speranze né alle mie i progressi di codesto giovine. Come mai potev'io ragguagliarlelo? Come giustificar, di mia parte, senza un troppo intralciato raggionamento, che non ne aveva la colpa? Come poter provare che neppure il nostro Fabbio ne era il solo colpevole, se non se piuttosto le circostanze, che ci obbligavano ambedue ad una condotta violenta [2] e dipendente da mille casi non premeditati?

          Credo che le indicai fin dal principio che l'educazione del nostro giovine avea in sé il solo difetto di essere adattata a una persona che avesse sempre a vivere fra gente onesta e dove, per conseguenza, la soverchia docilità ed il natural desiderio di cattivarsi i pubblici applausi non lo guidasse che a idee degne della sua casa e del suo dovere. Però purtroppo queste due ultime eccellenti qualità andavano ad essergli, e lo sono comunemente, fatali nella carriera intrapresa. La officialità, in generale, non cura troppo de' morali doveri; la officialità marina gli disprezza pur anche, avvezza a una soggezione violenta, a una frecuente privazione di tutto e a un certo rischio continuo della morte, che le fa trascurare anche la sua salute, non che gli oggetti distanti, e che cospirano a raffrenarlo. Ne' un comandante, che non ha poco a fare per esiggere tutta la puntualità nel servizio, può mischiarsi ne' costumi, nel sistema particolare di ciascheduno, senza infrangere la publica libertà, la sua autorità particolare e soprattutto il buon ordine del servizio.

          Di qui fu che il nostro Fabio, prendendo innocentemente per modello il maggior numero degli ufficiali, e desiderando di questo modo ottenere la loro amicizia e confidenza, non tardò un momento, imbarcato già, a volersi fare un sistema di vita, una serie di massime, nelle quali la sua poca prattica del mondo non potea additarle né gli inciampi né i passi oltremodo difficili per una orrevole carriera. Non v'era già al suo fianco un vigilante Mentore, che nelle private conversazioni gli scuoprisse l'inganno; non alla sua vista i modelli, o coetanei, o più felici, che gli ricordassero il bel sembiante della virtù con tutti i suoi adorni. Finalmente, non potev'io lasciar correre i doveri o dell'ajo o dell'amico senza vedere oltraggiati i primi e delusi i secondi, cospirando poi tutti a renderci ridicoli e l'uno e l'altro, in una società troppo ristretta.

          Con un giovine, poi, nel quale, quantunque docile e virtuoso, non mi era facile scuoprire un carattere fisso, sarebbe stato di mia parte imprudente il manifestargli chiaramente o l'error di una massima o il pericolo di un amico e di un modello. Non doveva compromettermi di questo modo con gli ufficiali, posciaché avea già pur troppi capi da difendere, nella mia situazione, senza aggiungervene degli altri, che sarebbero oggetti di questioni indefinibili.

          Così dunque fu d'uopo fin dal principio additargli solo con una specie di freddezza quel che non m'era grato, offerirgli continuamente quel grado d'amicizia che potesse combinarsi fralle due classi nostre, esigger molto più da lui che da verun altro in tutto ciò che fosse toccante a el servigio, ed aspettare impaziente che, poste in chiaro le sue disposizioni fisiche e morali, né i consigli si convertissero in prediche, né i precetti si confondessero fra il servigio e la condotta morale.

          Oltrediché, como nel fatto istesso di sciegliere, fra mille, otto o dieci officiali, dovessi di mia parte far conoscere ad ogni momento tutta l'attenzione che professava a loro servigj e talenti, né mi era facile il perseguir senza velo nel nostro giovine quelle cose che molte volte pareano agli altri o indifferenti o degne di applauso, né la naturale aridezza e poca familiarità di un comandante mi dava luogo a esiggere quelle conversazioni amichevoli che tanto desiderava.

          Tante difficoltà, dall'una e dall'altra parte, aumentarono ogni giorno di più la nostra infidenza. Io non mi spiegava seco lui, perché temea mi compromettesse. Egli mi fuggiva perché sapea che non approvava le sue massime; e l'officialità, che a bordo, com'ella sa, non ha molto in che divertirsi, ne prendea occasioni da piccioli avvenimenti giornalieri, e l'uno e l'altro perdeamo, senza neppure la speranza di qualche vantaggio.

          Si aggiunsero poi a questi inconvenienti la facilità con la quale volea ciascheduno formargli la base de' conoscimenti nautici, molte volte contro i miei princìpi, e la necessità in cui io mi truovava, di procurar sempre che le incommodità generali della vita domestica cominciassero, per esser soffribili, da noi altri due. E finalmente l'amicizia mia coll'altro comandante, e lo star sempre o quasi sempre insieme, mi persuase che questa strada dovea già cominciarsi a pruovare, per ottenere il desiderato oggetto.

          Felicitiamoci l'un l'altro, stimatissimo sig. abbate, per la buona riescita di questa pruova. Il nostro giovine ha conosciuto che non è il maggior numero, quel che batte lo stretto sentiere della virtù; ha conosciuto che l'uom d'onore non ha altro freno che la impossibilità, nella classe de' suoi servigj; ha conosciuto che le massime morali appoggiate sopra la religione, la istoria e la coscienza non han bisogno, a una certa età, né de' pubblici applausi né dell'altrui esempio, per esser permanenti; e sicuro ha conosciuto che desideravo l'amicizia sua, sempreché non gli fossi un oggetto o di timore o di molestia; ha ottenuto finalmente l'ordine di esser quanto prima asceso al grado di alfier di vascello, il che non avrei sicuramente domandato, se credessi che la sua troppo celere carriera dovesse produrmi qualche giorno i rimordimenti di non averla  meritato.

          Mi son forse dilungato di troppo, stimatissimo sig. abbate, ma la mia verace stima per lei, il giusto rispetto ad una madre che adoro e la mia gratitudine al sig. marchese Gian Francesco, tutto si riuniva ad obbligarmi a questa giustificazione, così del passato come dell'avvenire. Stii pur sicuro, che nulla più mi sta a cuore che quest'oggetto de' nostri voti; e posciaché posso assicurargli che il nostro Fabio ha una salute robustissima, un bel talento ed un cuore non per anche imbrattato, speriamo dall'avvenire quella perfezione alla quale dobbiamo aspirare, se non se conseguirla.

          Fabbietto le parla e parlerà del viaggio. Io non ho tempo per nulla più, se non se per riassicurarle che sarò sempre e a tutta pruova suo

 

P.S.    Mi sorprende che non ci rispondano gli abbati astronomi di Milano [3] .

 


[1] Manfredi 1999, pp. 280-283. Originale in ACAM / frx.  [Criteri di edizione]

[2] Malaspina attribuisce al vocabolo violenta il significato di forzosa, cosa resa necessaria dalla situazione.

[3] Gli astronomi di Brera in effetti risponderanno, ma una serie di contrattempi impedirà a Malaspina di ricevere tempestivamente la loro lettera.

Text courtesy of the Centro di Studi Malaspiniani, Mulazzo, Italy; notes by Dario Manfredi.     English Translation

 

Updated: May 25, 2018